domenica 3 novembre 2013

CAMBIAMENTI CLIMATICI E BUSINESS

Leggere delle percentuali di emissioni da ridurre entro una certa data, che in genere è fissata a uno o due decenni di distanza, suscita una certa ilarità. 

O ancora, per portare un piccolo esempio fresco e indicativo di come funziona il tutto, la Convenzione di Minamata (cittadina giapponese vittima negli anni ’50 del peggior disastro ambientale e umano causato dal mercurio. Tale Convenzione sancisce entro il 2020 il divieto dell’uso di mercurio. Però solo i nuovi impianti a carbone (tra le maggiori fonti dell’emissione totale di 2000 tonnellate annue) dovranno dotarsi di nuove tecnologie per limitare le suddette emissioni, quelli esistenti no, e l’estrazione di mercurio sarà vietata solo dopo15 anni dall’entrata in vigore della convenzione. 

Innanzitutto perché, di tutti gli accordi internazionali, gli unici veramente vincolanti sono quelli relativi al commercio? Perché i Paesi devono scegliere dei regimi che siano conformi alle regole del WTO? Perché in tutti gli altri casi, si tratti di armi, di diritti umani, di sanità, di ambiente, di clima, di balene, convenzioni e accordi restano lettera morta, carta straccia, tempo, denaro ed energie umane sprecati? O, nella migliore delle ipotesi, non vincolano chi non aderisce? 

A proposito delle emissioni, anche di fronte a uno stop immediato e totale di ogni fonte di gas serra, il cambiamento climatico in atto procederebbe indisturbato per ancora un bel pezzo, per quella che gli scienziati chiamano retroazione positiva, ossia, in soldoni, per i gas già presenti in atmosfera. E il cambiamento è in atto, checché ne dicano esperti prezzolati. 
Le prove? A parte l’intensificarsi di fenomeni meteorologici gravi e sempre più frequenti che sono all’onor di cronaca pressoché quotidiana ma che potrebbero venire giustificati dicendo che nelle varie ere si sono alternati periodi molto freddi a periodi molto caldi, esistono dei fatti inconfutabili. 
Società assicurative di importanza mondiale (tra l’altro alcune presenti nell’elenco delle 50 multinazionali più ricche del mondo) hanno avuto negli ultimi anni perdite record per danni causati da eventi climatici e ora si guardano bene dal permettere che ciò si ripeta e stanno esponenzialmente alzando i premi o rifiutando di assicurare in determinate aree. 
Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), ente prudente e conservatore, i cui resoconti devono essere approvati dai governi prima di divenire pubblici (quindi devono essere resoconti sufficientemente diplomatici e certo non allarmisti), da vent'anni mette in guardia, e continua a farlo, riguardo ai cambiamenti climatici e alle conseguenze gravi di questo, presentando scenari tutt'altro che rassicuranti. E, appunto, bisogna riflettere sul fatto che si tratta di una versione edulcorata. 
L’OMM, l’Organizzazione meteorologica mondiale, dal canto suo paventa scenari raccapriccianti. Ho letto alcuni stralci delle loro ricerche sul decennio 2001-2010 ed è una lettura edificante. In accordo con molte conclusioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), ciò che viene fuori è che la percentuale di popolazione mondiale che vive in zone a rischio è e sarà crescente, con annessi problemi di accesso al cibo, all’acqua, alla terra fertile, quindi conflitti e migrazioni consistenti. 
Il fenomeno del Land grabbing, di cui ho scritto in’altra occasione, cioè dell’accaparramento di vasti territori a prezzi irrisori da parte di multinazionali e governi è un’ulteriore conferma in tal senso e dice chiaro che lo sanno bene che è meglio per chi può permetterselo arraffare a man bassa l’arraffabile. 
E poi basta leggere le quotazioni in borsa dei prodotti agricoli, alimentari o per biocombustibili, per notare che non solo tengono ma sono al rialzo costante e che, a parte i colossi di internet, gli investimenti più accreditati sono quelli rivolti al cibo, oltreché ai minerali rari. 
Ma passano i decenni e nessuna vera rivoluzione energetica è avvenuta né è in procinto di avvenire: tutti gli operatori del settore ora parlano green ma in pratica spendono una percentuale irrisoria dei propri investimenti in energie rinnovabili e buona parte del cosiddetto green consta nel piantare un paio di alberi in paesi che inquinano ancora poco in cambio dei loro diritti di emissione. 
Siamo di fronte a degli incompetenti o a una volontà politica precisa?
Di sicuro c’è che siamo proprio alla frutta.

giugno 2013

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